Il mostro di Balsorano 32 anni dopo - Che fine ha fatto Andreea Rabciuc la ragazza scomparsa?
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Il mostro di Balsorano 32 anni dopo - Che fine ha fatto Andreea Rabciuc la ragazza scomparsa?

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Il mostro di Balsorano - Il 24 agosto del 1990 la piccola Cristina Capoccitti, 7 anni, viene trovata morta in un bosco del suo paese, Case Castella, al confine tra Marche e Abruzzo.
La bimba ha subito un tentativo di violenza sessuale. Tra accuse reciproche e depistaggi la vicenda si conclude con la condanna dello zio. Una sentenza sulla quale si addensano ancora pesanti dubbi.

Il 23 agosto 1990, a Case Castella (frazione di Balsorano; L'Aquila), scomparve Cristina Capoccitti, 7 anni.

Era uscita di casa intorno alle 20:30, con uno yogurt come cena, per andare a giocare nella piazzetta del paese con gli amichetti.

Venne cercata tutta la notte dai genitori, dai parenti e da tutti i paesani.

La mattina, quasi all’alba, del 24 agosto, il suo corpo martoriato fu ritrovato in un bosco alle pendici dei monti Ernici, a pochi metri da casa sua.

La bimba era seminuda, sulla gola aveva i segni di una mano e la testa era stata fracassata da un macigno.

Cristina fu strangolata e massacrata con un sasso, ma non fu tutto: il sangue sul corpo della bimba rivelò un tentativo di abuso.

L’assassino tentò anche di violentarla, per fortuna non riuscendoci.

La ricerca del most durò uno spazio brevissimo; nel giro di tre giorni dal delitto c'era un reo confesso: era il cugino 13enne di Cristina, Mauro Perruzza, il figlio della sorella del papà della bambina.

Ascoltato in Procura, il ragazzo raccontò di aver visto la piccola nel pomeriggio del 23 agosto, di averle riparato la bicicletta e di essere rimasto con lei fino a sera nella piazza del paese.

Poi dice di essersi avventurato con lei nel bosco, ma ad un certo punto la bambina si abbassò mutante e pantaloncini e lui la riprese.

Cristina avendo preso paura cominciò a correre, ma avendo ancora i pantaloni abbassati inciampò e picchiò la testa contro un sasso… a quel punto il cugino racconta di aver perso la testa e di averla uccisa.

In realtà il colpo di scena doveva ancora arrivare e arrivò presto, Mauro accusò il padre di aver ucciso la piccola. Non sono stato io ma mio padre, sentenziò.

Nel frattempo, l'audiocassetta con la confessione del ragazzo (ascoltato in Procura in assenza dei genitori e di un legale, nonostante fosse un minore) sparì misteriosamente.

Ad aggravare la posizione di Michele Perruzza, arrivò un'altra testimonianza pesante come un masso: fu quella della moglie Giuseppa.

Che conferma la testimonianza del figlio.

Tutti sapevano ormai che Michele era il mostro di Balsorato.

Finché la moglie ad un certo punto ritrattò tutte le accuse rivolte al marito.

Michele Perruzza e la moglie furono anche processati con l’accusa di aver convinto il figlio a prendersi la colpa, perché in quel momento minorenne e quindi non punibile per legge.

Michele Perruzza intanto venne processato e ritenuto colpevole con la pena dell’ergastolo.

Nel 2003 l’uomo ebbe un infarto mentre era incarcerato a Rebibbia e fu chiamata l’ambulanza, nella quale Michele disse all’infermiere che lo stata assistendo: dite a tutti che non sono stato io.
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